Strade d’arte: storie di un’arte anarchica

In un tedioso sabato pomeriggio in cui il tempo suggeriva di stendersi in un prato e dalla finestra entrava il profumo dei fiori d’arancio appena sbocciati, ricevo una telefonata da Gojo: “Eron sta dipingendo all’Istituto Dell’Enciclopedia Italiana”.

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Arrivata al palazzo dietro Largo di Torre Argentina, scorgo il cortile e lo street artist intento a dipingere un relitto di una barca: l’immagine ricreata si avvicina più ad un disegno rinascimentale, realizzato con fini pennelli, piuttosto che con degli spray e della ruggine ramata che si offre come una svanita forma di partenza. È un’opera dedicata ai migranti,“Soul of The Sea”, che raffigura il volto di una bambina e di una madre che dolcemente guarda il figlio, con l’evanescenza di un ricordo, di un fantasma perduto, di un’anima imprigionata nel metallo: la rappresentazione quasi commovente che viene illustrata su ciò che rimane di un’imbarcazione ritrovata al largo della costa croata e che diventa supporto per un messaggio che unisce un’arte urbana tanto controversa e la raffinatezza di un affresco rinascimentale.

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All’interno del palazzo, si tiene una conferenza in cui Frankie Hi-Energy è relatore di un movimento arrivato al trentesimo anniversario e che la Treccani omaggia con degli esponenti intenti a descrivere come la street art sia entrata ormai a far parte della storia dell’arte come “espressione anarchica”: non è più un’avanguardia, è una corrente affermata, perché “Dopo dieci anni” afferma Ozmo, “non è più una moda”.

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La discussione si apre introducendo Flycat ed il writing che spiega Frankie HNG “Supera l’espressione: scrivo il mio nome su un treno, ma incorporo significati, significanti, sensi e filosofia all’interno di un’opera artistica”.

Flycat si presenta sottolineando la sua strettissima relazione con le 26 lettere dell’alfabeto latino romano nuovo dalla A alla Z. Dall’84 inizia innamorandosi di quest’arte, appena approdata in Europa. Milano era un punto focale di questa nuova cultura e l’unico testo fruibile stampato era Arte di Frontiera: New York Graffiti di Francesca Alinovi, che tutt’oggi suggerisce essere uno dei testi sul writing più quotati. A seguire, Ozmo ripercorre il suo passato artistico, che a differenza di Flycat, inizia studiando all’Accademia di Belle Arti di Firenze e contemporaneamente dipingendo muri, fino ad unire l’esperienza del writing a quella accademica.

“Il graffitaro è dispregiativo” e in questi vent’anni di esperienza, spiega “Non rinnego la mia esprienza di graffitaro”, ma presume di essersi evoluto da quello status, avendo sviluppato un diverso stile e forma di espressione. Inoltre, Ozmo cita “Street Art, Sweet Art: quella mostra è stata un po’ uno spartitraffico” tra quell’espressione artistica nata e rimasta per strada e quella che poi si è ritrovata rinchiusa nelle mura di uno spazio espositivo.

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È Francesco Di Gesù (Frankie Hi-Energy, ndr) a dare una definizione di street art e writing, cercando di dare chiarezza ad un ormai troppo consueto fraintendimento:

“Il writing è scrittura: il soggetto dell’opera del writer è un insieme di lettere, che non sempre sono leggibili, ma sono modificate, confuse e volutamente rese comprensibili solo da chi riesce a coglie-re il lato potabile di quell’universo. La Street Art no. Nel writing il soggetto dell’opera in più del 90% dei casi è il nome dell’artista o alcune lettere che lo compongono – solitamente le iniziali . Questo rende evidente il discrimine che esiste tra il writer e lo street artist, che invece ricorre a una serie di sguardi al passato dell’arte tutta, riprendendo delle nozioni; non che il writer non lo faccia: Luca (Flycat, ndr) non si limita ad un semplice alfabeto, studia il cuneiforme. Il writer è la propaggine più moderna dell’antichissima arte del calligrafo”.

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Le figure altrettanto autorevoli del professore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze in storia dell’arte contemporanea Franco Speroni, la critica d’arte Fabiola Naldi e il gallerista, promotore di eventi e writer Pietro Rivasi durante le due ore di conferenza hanno dato il loro contributo, affrontando (insieme agli altri partecipanti) anche il caso di Blu, che qualche settimana fa ha deciso di coprire di grigio tutte le sue opere a Bologna, prima che fossero “commercializzate”.

Fabiola Naldi descrive il percorso evolutivo dei Graffiti nella New York degli anni descritti da Francesca Alinovi, focalizzandosi sull’improvvisa consapevolezza che “Quella cosa che stava accadendo tra le strade di New York, aveva delle necessità ben precise, assolutamente auto riflessive: dialogavano tra di loro, lo stile cresceva incessantemente nel giro di giorni. La città, ovviamente devastata in una modalità di occupazione del territorio altrui, non comprendeva cosa stava accadendo e codificava solo l’attacco” e dopo qualche anno, al finire degli anni Settanta, non si parlava più solo di tags o throw up, ma di pezzi e “quando loro parlano di pezzi, parlano di qualcosa che si sta già modificando e in qualche modo accrescendo lo stile: c’è già una riflessione, una concettualità e c’è già un’autorialità. Quindi questi stavano già creando un movimento”.

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Quasi a conclusione del dibattito, Flycat riprende parola e dichiara che “Questa cosa qua mi ha salvato” e riprendendo la dichiarazione di Pietro Rivasi “Io non riesco a vendere il writing alle istituzioni” di qualche minuto prima, confessa che la pelle gli si è accapponata e conclude con un’animata enfasi “Ma vendi il tuo culo non il mio” e continua dicendo di rappresentare persone e figure di quest’arte che non ci sono più e che gli hanno dato tanto: per questo ha “il dovere di dire le cose come stanno(…). Non me ne frega niente di vendere il quadro nella tua galleria: io lo faccio perché vivo. Se non dipingo muoio”.

Ed è questa la manifestazione più verace e profonda di tutta la conferenza: la voce all’anima di un’artista che protegge ciò che ha di più prezioso, la sua arte propria e condivisa, una cultura costruita egocentricamente in una collettività individualista, indipendentemente dalle controversie scaturite da una definizione di espressione sia street art o writing, galleria o strada.

Per approfondire vai qui.

testo di Anya Baglioni

foto di Anya Baglioni e Treccani

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l’artista Eron e Frankie Hi-Nrg

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Eron mentre lavora alla sua opera “Soul of the Sea”
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Anya Baglioni

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