Cos’ hai mangiato a colazione, pranzo e cena?
Cosa c’è nell’immondizia?
Ami qualcuno?
Sono solo alcune delle domande che vi farebbe l’autore di Pocket Project – Le Tasche del Mondo. Lui è Fabio Persico, ovviamente figo, giovane e III capitolo di Breaking Minds, rubrica a cura di Chiara C Giuliani e dedicata a chi ha deciso di vivere la propria passione h24, perchè non può farne a meno…
Ho conosciuto Fabio un po’ di anni fa, ed è una di quelle persone che quando le conosci ti fanno il pieno di serotonina, ti mettono allegria. Quello che ci ha subito uniti sono le allergie alimentari, ma devo dire che le sue sono molto più originali, tipo all’aglio o alla cioccolata, ed è forse per questo che il cibo è diventato una delle sue tante passioni. Illustrazione, regia, montaggio, scenografia, scrittura. In qualsiasi ambito si sia cimentato lo ha fatto e lo fa sfacciatamente bene, ecco perché vale la pena leggere la sua storia.
Circa 5 anni fa Fabio ha inventato un format: Pocket Project in cui intervistando le persone per strada gli fa svuotare le tasche per farsi raccontare un pezzo della loro vita, del loro quotidiano. Protagonisti le storie e gli oggetti che scaramanticamente non lasciamo mai e che ci danno la serenità per affrontare la giornata. Questa volta l’abbiamo intervistato noi per farci raccontare, finalmente, la sua di storia.

– Pocket Project nasce nel 2012, cos’è e che piega sta prendendo.
Proviamo a fare un esperimento. Incontri qualcuno che non conosci e hai voglia, per curiosità, di sapere di più di quella persona!
Le domande che possono bastare sono:
– cos’ hai mangiato a colazione, pranzo e cena?
– cosa c’è nell’immondizia?
– ami qualcuno?
– cos’ hai nelle tasche?
Vedrai che, se non sorriderà perché in imbarazzo, non si arrabbierà per fastidio, avrai saputo chi è quella persona.
Siamo simboli, oggetti, elementi distintivi. Ognuno ha un particolare che lo contraddistingue, soprattutto tangibile, fisico. Questo è il punto di partenza del mio progetto, la curiosità. Da qui, in un viaggio molto importante a New York, ho capito che volevo conoscere le persone. Tipo un censimento mondiale fatto di oggetti, di stronzate, di piccoli particolari. Ho iniziato chiedendo alle persone per strada di dirmi quanto spendevano al giorno; stavo sbagliando strada, i soldi sono una parte troppo nascosta della gente. Però non mi ero allontanato troppo! Da lì il salto: “Ok, dove sono contenuti i soldi? Nelle tasche! E cosa c’è nelle tasche?”.
Benvenuto Pocket Project – Le Tasche del Mondo.
Una sorta di scatolone fatto di video racconti, brevi documentari e ritratti fotografici. Dall’America degli scontrini della spesa del Mall o del pranzo al ristorante cinese all’incrocio tra Bowery e Canal St, della marijuana nei flaconi, dei lipstick, alle fave con il coltellino in Calabria, passando per la carta d’identità per persone pericolose, quella rossa, nel cuore di Forcella; facendo un salto nella Norvegia dello Snus, i cuscinetti di tabacco che vanno messi dietro le gengive, Pocket Project ha fatto un gran bel giro. Circa un anno fa è nato “Le Tasche d’Italia”, un viaggio nel Bel Paese, tramite ritratti di persone e personaggi. Dopo qualche mese di stasi, il progetto ha trovato un nuovo respiro. Un grande brand lo ha preso sotto la sua ala e lo sta producendo per una serie.
Da adesso alle informazioni specifiche, per scaramanzia, ti dirò solo di aspettare e vedere come andrà a… continuare.

– Descrivimi il momento esatto, se c’è stato, in cui hai deciso di abbandonare il tuo lavoro e dedicarti ai tuoi progetti creativi.
Potrei dare un titolo a questa risposta: “È tanto che lo stiamo perdendo, s’è ritrovato da solo.” Sottotitolo: “La medicina non salverà il mondo se non ci saranno belle immagini fisse nella testa della gente“.
Ecco qui. Te lo spiego! Ho deciso di studiare comunicazione visiva dopo non essere riuscito ad entrare a medicina; c’ho provato per tre anni consecutivi, era la mia più grande passione. Volevo aiutare la gente! Un po’ per incapacità tecnica, un po’ perché forse la mia strada era segnata, l’ho cambiata prima di fare grandi cazzate.

Sul bivio, l’altro cartello era “casino” e che fai non lo scegli? Il mio casino in quel periodo (2003) erano il concetto di comunicazione e il design, due dimensioni e non semplici parole. Mi ci sono buttato a capofitto, ho studiato di brutto, anni. Poi durante l’ultimo anno di università ho avuto la possibilità di essere scelto tra tanti per entrare a far parte di uno dei colossi della pubblicità internazionale. Chiudete gli occhi, stacco, riapriteli; 6 anni dopo ero come si direbbe in un film anni ’80 “in carriera”. Disegnavo quello che tutti vedevano per strada, sui tram, nei supermercati, nelle farmacie, in tasca, nelle credenze, insomma facevo di tutto. Il motivo per il quale a un certo punto ho preso tutto il bagaglio ed ho lasciato è stato semplice: volevo stare in mezzo alla gente e non guardarla da fuori, volevo essere qualcuno e non sembrare qualcosa. Parallelamente al lavoro avevo lanciato un marchio di t-shirt e accessori perché non riuscivo a stare fermo, si chiamava “Perché”, era una risposta più che una domanda; andava molto bene ed era la soluzione a tutto. Ci guadagnavo parecchio e a ventotto anni mi divertivo. Ciò che finisce ha un motivo, ti posso dire che il progetto delle tee non è andato avanti… perché doveva andare così, cioè arrivare a quello che faccio ora, ovvero raccontare per immagini, per storie in video, tutto quello che vedo. Fine, o meglio, fine di quello che c’è stato fino ad ora, si riparte.

– Qual è la “pockettata” che ti ha divertito di più o che non dimenticherai mai.
Mi sono ritrovato in parecchie situazioni estreme, a volte pericolose ma dirti che un coltello a serramanico a scatto o due bocce di metadone con coca e pasticche siano le cose più strane, sarebbe riduttivo per l’idea di Pocket Project. Mi hanno divertito le palline anali di un tipo ad un festival e la ricetta, ben custodita, degli arancini di una studentessa a Bologna. Sono stato colpito a:
– Salerno. Una signora di quasi novant’anni aveva nel portafoglio la foto di quello che sarebbe potuto diventare suo marito ma che non ha mai più rivisto dopo essere partito per la guerra. Morto? Non si sa! Disperso? Sicuramente. Immagina una persona che per settanta anni della sua vita custodisce accanto ai santini, alle foto dei nipoti, del marito, dei figli, quella di un uomo con la barba appena fatta che le avrebbe forse cambiato la vita. Mi emoziono ancora oggi che te lo scrivo.
– Roma. Il sale grosso anti sfiga, in una scatolina piatta, nella tasca degli spicci. Marzia, escort, trans, srilankese. Avrei parlato con lei per sempre.







